La cultura italiana, che per altro non gode di questi tempi di grande salute, deve piangere la dipartita del Professor Vittorio Sermonti. Scrittore, saggista, traduttore, regista di radio e tv, giornalista, docente di Italiano e Latino al liceo «Tasso» di Roma (1965-1967), e di tecnica del verso teatrale all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica (1973-1974), consulente CEE (1985-1988), poeta e lettore di poesia — si occupava da sempre dell’energia vocale latente nei testi letterari, ossia del rapporto fra la scrittura e la voce. Ed è in questa ottica che Sermonti diventa famoso quando negli autunni del 2006 – a Milano, Santa Maria delle Grazie – e del 2007 – Roma, esedra del Marco Aurelio nei Musei Capitolini – lesse in pubblico la Commedia di Dante,
A Milano, nella magica atmosfera che ricordava Leonardo e Bramante, entrava a Santa Maria delle Grazie alle nove in punto, in una chiesa stipata di gente fino all’inverosimile, e subito si iniziava, dopo avere sistemato su un leggio i fogli. La Divina Commedia di Dante, un canto al giorno, tre quarti d’ora di racconto e poi la lettura del canto. Da lui ha preso le mosse Benigni, e senza falsa modestia, anche noi nel nostro piccolo tentammo di seguire il suo percorso leggendo Dante nelle serate organizzate dalla nostra Biblioteca.
E mi piace immaginare che ora Vittorio Sermonti così come narra Dante nel IV Canto dell’Inferno sia assieme ai grandi e
Così vid’ i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto
che sovra li altri com’ aquila vola.
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e ‘l mio maestro sorrise di tanto;
e più d’onore ancora assai mi fenno,
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.